Il regista Stefano Sollima affronta il caso più oscuro d’Italia senza cercare il colpevole, ma mettendo in discussione le verità processuali. Nel racconto di Sollima, il Mostro di Firenze non è solo una figura enigmatica, ma anche un simbolo della fallibilità delle istituzioni, delle suggestioni investigative e del peso delle narrazioni che si costruiscono a tavolino.
In un’epoca di AI, manipolazione e iper-narrazione, forse questo è l’unico modo per avvicinarsi davvero alla verità: riconoscere che, a volte, l’onestà sta nel non sapere.
Il 22 ottobre 2025, a dieci anni esatti dall’arrivo di Netflix in Italia, sulla piattaforma debutterà Il Mostro, la nuova serie firmata da Stefano Sollima e Leonardo Fasoli, che torna ad accendere i riflettori sul mistero mai risolto del Mostro di Firenze. Ma non si tratta dell’ennesimo true crime: questa volta, a colpire, è l’approccio. Niente caccia al colpevole, nessuna verità assoluta, ma una scelta radicale: ripartire da capo, ricostruendo ogni pista senza forzarla verso una tesi predeterminata.
Ritorno alle origini: la pista sarda e gli errori delle prime indagini
La serie, composta da quattro episodi, si concentra sulle prime fasi dell’inchiesta, quelle che precedono l’arrivo in scena di Pietro Pacciani e dei cosiddetti “compagni di merende”. Al centro c’è la “pista sarda”, una delle ipotesi investigative meno esplorate nel racconto mediatico, ma che negli anni ha generato dubbi e interrogativi mai del tutto dissipati.
Stefano Sollima, regista già noto per Romanzo Criminale, Gomorra, Acab, Suburra e l’ultimo Adagio, ha spiegato la genesi del progetto:
“Ci colpiva un peccato originale: l’idea che ci fosse una tesi di fondo a cui veniva piegata la verità. Per questo abbiamo capito che l’unico modo per fare chiarezza era ricominciare da zero.”

Marco Bullitta, Valentino Mannias, Francesca Olia, Liliana Bottone, Giacomo Fadda, Antonio Tintis e Giordano Mannu interpretano personaggi legati a ciascuna delle piste investigative. Ogni puntata, infatti, è dedicata a un sospetto: una scelta narrativa forte, che consente di raccontare i fatti senza sposare una verità unica, ma lasciando emergere tutte le contraddizioni.
Un racconto senza colpevoli, dove il vero protagonista è il dubbio
“Pensavamo fosse necessario riraccontare la storia del Mostro”, ha spiegato Sollima.
“Non tanto per trovare il colpevole, ma per riportare alla luce tutto quello che è stato messo da parte. E per fortuna ci è venuta un’idea che ci ha guidato: dedicare ogni episodio a uno dei sospettati, senza forzare nulla.”
Il risultato è un’opera non giudicante, ma lucida, che mette lo spettatore di fronte a tutte le ipotesi, comprese quelle abbandonate frettolosamente. In un panorama televisivo dove il true crime è spesso costruito come uno show con buoni e cattivi, Il Mostro si distingue per l’etica narrativa: più che cercare il colpevole, prova a capire cosa non ha funzionato nelle indagini e nei processi.
Nel 2025, con una nuova generazione di spettatori sempre più attenta alla complessità dei fatti storici, questa operazione ha un valore che va oltre la serialità: diventa una riflessione sul modo in cui costruiamo la memoria collettiva e giudichiamo la verità.
Il Mostro, nella visione di Stefano Sollima, non è solo un viaggio dentro uno dei misteri più cupi della cronaca italiana, ma anche una messa in discussione radicale del modo in cui raccontiamo il passato. A distanza di oltre quarant’anni dai delitti, il caso del Mostro di Firenze continua a suscitare ossessione, teorie, dubbi. Ma ciò che rende questa serie così potente è l’onestà intellettuale con cui decide di non offrire una risposta, ma piuttosto moltiplicare le domande.
In un’epoca in cui la narrazione spesso piega i fatti per costruire trame rassicuranti, Sollima e Fasoli scelgono la complessità, il frammento, l’ambiguità. Ogni episodio si fa specchio di un’Italia che ha voluto credere a certe piste, che ha giudicato troppo in fretta, che forse non ha mai voluto davvero capire. E questo ha un peso enorme anche oggi: perché ci parla non solo del passato, ma del nostro modo di vedere il mondo, della nostra fame di certezze e della difficoltà a convivere con l’incompiuto.
Il Mostro non chiude il caso, non cerca il colpo di scena finale. Riapre una ferita per osservare cosa si nasconde dentro: un sistema giudiziario fragile, un’opinione pubblica condizionabile, e un dolore che nessun colpevole, vero o presunto, potrà mai cancellare. È questo che rende la serie necessaria. Non perché ci dica chi è stato, ma perché ci costringe a chiederci cosa siamo diventati, cercando di capirlo.