Una telefonata nel 2004 ha cambiato per sempre la vita di Antonio D’Angelo, trasformandolo da cuoco d’hotel a volto della cucina fusion italiana. Antonio D’Angelo è la prova vivente che il talento, quando incontra il coraggio di cambiare strada, può trasformare tutto.
Il suo percorso, partito da Napoli e passato per una cucina da convitto, ha toccato gli yacht di uno stilista leggendario, i grandi nomi del jet-set internazionale, e infine la terra.
Certe carriere si costruiscono con talento, altre con sacrificio. Ma a volte, basta una chiamata inaspettata per cambiare tutto. Per Antonio D’Angelo, oggi chef affermato del Nobu di Milano e produttore agricolo nel bresciano, la svolta è arrivata nel 2004, quando si è ritrovato per caso a cucinare per Giorgio Armani. Quel mese passato a bordo dello yacht Mariù, ancorato a Porto Cervo, lo ha proiettato in un mondo fatto di lusso, precisione e fiducia, aprendogli le porte di una carriera che lo avrebbe portato a lavorare in tutto il mondo.
Dai fornelli in mare alla cucina personale di Armani
All’epoca, D’Angelo era un giovane cuoco in ascesa, capopartita all’hotel Gallia di Milano. Quando gli venne offerta la possibilità di lavorare temporaneamente sulla barca di Armani, non ci pensò due volte. Anche se lo stilista non era presente a bordo, il passaparola dell’equipaggio fece il suo corso. Qualche settimana dopo, ricevette una seconda proposta: entrare nella squadra del Nobu, il ristorante fusion fondato da Armani e dallo chef giapponese Nobuyuki Matsuhisa, nel cuore del Quadrilatero della moda. Fu solo l’inizio. Poco dopo, arrivò la richiesta più impegnativa: diventare lo chef personale di Giorgio Armani.

Per quasi cinque anni, dal 2004 al 2009, Antonio D’Angelo ha seguito lo stilista in ogni angolo del mondo. Pantelleria, Antigua, New York, Portofino, Forte dei Marmi, senza dimenticare i suoi yacht privati, tra cui il celebre Main, una barca dotata di una cucina professionale da ristorante. Ogni giorno, lo chef proponeva due o tre piatti, fino a trovare quelli più in sintonia con il palato del suo datore di lavoro. Armani apprezzava in particolare la pasta e piatti con carne dal sapore delicato, come il vitello. Quando erano a Milano, D’Angelo si ispirava alle ricette della madre dello stilista: pisarei e fasò, spaghetti al pomodoro, scaloppine.
Ma nelle occasioni speciali, lo chef dava il meglio: sashimi, catalana, tartare, gamberi alla griglia. Un piatto in particolare, una carbonara di verdure, conquistò perfino Bono Vox, che gli propose scherzando di lavorare per lui. Nelle cene più esclusive cucinò anche per Tom Cruise, Leonardo DiCaprio, Sophia Loren.
Il ritorno al Nobu e il sogno della terra: oggi lo chef coltiva wasabi in Lombardia
Nel 2009, D’Angelo decide di lasciare la cucina privata per tornare alla ristorazione. «Mi mancava l’adrenalina della sala», ha spiegato. Ma il ritorno al Nobu fu tutt’altro che semplice: la sede milanese stava attraversando un momento difficile. I clienti la paragonavano agli altri Nobu del mondo, soprattutto a Londra, considerata la sede più fedele alla filosofia di Matsuhisa.
D’Angelo allora prende in mano la situazione: rinnova la brigata, ristudia i piatti, si confronta direttamente con Nobu, imparando la sua precisione maniacale. Nasce così un nuovo corso. Oggi Nobu Milano serve oltre 80.000 coperti all’anno e consuma quattro tonnellate di pesce al mese, con 500 chili solo di tonno. La ricciola con jalapeño resta un must, ma D’Angelo ha portato anche la sua firma nei menu: semplicità, stagionalità, essenzialità. Tre parole che rispecchiano anche la filosofia estetica di Armani.
Nel 2020, durante il primo lockdown, nasce una nuova sfida: l’Orto di Mimì, una farm di quattro ettari tra le colline del bresciano, dedicata al padre. Lì, D’Angelo coltiva ortaggi italiani e giapponesi, come yuzu, daikon, shiso, sansho, ma soprattutto wasabi fresco, un unicum in Italia. L’80% degli ingredienti vegetali usati oggi al Nobu provengono direttamente dalla sua azienda agricola. Ogni mattina passa a controllare l’orto prima di recarsi in cucina, accompagnato da un’alpaca che Armani gli ha regalato, Maria Rosa.
Oltre al Nobu e all’orto, nel 2017 apre il suo ristorante a Formentera, il Molo47, premiato nel 2025 con il Sole della Repsol, uno dei più alti riconoscimenti spagnoli nel campo della gastronomia.