Un festival tra ironia e impegno, tra chi sdrammatizza e chi ricorda: il red carpet diventa specchio della realtà.
Il tappeto rosso non è mai soltanto una passerella di abiti. Lo dimostra il festival di quest’anno, dove l’estetica si intreccia con il ricordo, e il glamour incontra la denuncia. Se da un lato sfilano Valeria Bruni Tedeschi con l’effetto diva nel film Duse, dall’altro la regista Kaouther Ben Hania mostra la foto della piccola Hind Rajab, la bambina palestinese uccisa a Gaza, e trasforma il red carpet in uno spazio di memoria collettiva. In mezzo, ironie alla Alba Parietti, look ghiacciati come quello di Rooney Mara, e tocchi da modella anni ’90 con Gabrielle Caunesil Pozzoli e Maria Borges. Non solo cinema, insomma, ma una narrazione fatta di stili, gesti e simboli.
Due le opere che più di altre hanno catalizzato l’attenzione. Da una parte Duse di Pietro Marcello, pellicola intensa con una Valeria Bruni Tedeschi che si ritaglia il suo spazio da protagonista, con classe e misura. Il film è un ritratto elegante, tra biografia e creazione artistica, che omaggia la figura di una donna-simbolo del teatro e della cultura italiana.
Dall’altra parte, un pugno allo stomaco: The voice of Hind Rajab, presentato dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania, che ha scelto di sfilare sul tappeto rosso con in mano un ritratto della bambina rimasta intrappolata in un’auto per ore sotto i bombardamenti a Gaza, prima di essere uccisa. La potenza di quell’immagine ha scosso pubblico e stampa, trasformando il festival in un’occasione di riflessione oltre la finzione.
Lo stile che racconta: voti, look e provocazioni sul tappeto rosso
Come ogni festival che si rispetti, anche il red carpet diventa teatro di moda e ironia, tra chi osa e chi resta fedele a un’eleganza più sobria. Alba Parietti, regina del “Parietti World”, arriva con l’outfit “Tirami la gamba, sul Tramvai” (forse un omaggio a Raffaella Carrà) e si prende un 5 per la sola audacia. Rooney Mara, pur impeccabile, paga la scelta minimal e “infreddata”: anche lei 5.

Piace invece il power suit di Joaquin Phoenix (7), così come la scelta nostalgica di Sabine Getty, che sfida l’icona Patty Pravo con un tuxedo bolero ironico e azzeccato (7). Tra le modelle, si distinguono Gabrielle Caunesil Pozzoli e Maria Borges (entrambe 7,5), mentre Stella Maxwell scivola con un look anonimo (5).
Un po’ più sottotono, ma comunque efficace, Valeria Bruni Tedeschi che si presenta con un’aura da diva senza eccessi(7), mentre la sorella Maria Borini Bruni Tedeschi punta a un’eleganza vacanziera (7,5). Merita una menzione anche Edoardo Sorgente, il cui look conquista per personalità (7,5), mentre Enrico Bartolini resta in zona neutra (5,5).
Il tappeto rosso come riflesso del presente
Quello che emerge, tra sfilate e riflettori, è un red carpet che racconta molto più dei film. Ogni gesto, ogni scelta stilistica, ogni riferimento culturale o personale, si fa metafora del nostro tempo. Il festival diventa luogo dove convivono leggerezza e dramma, bellezza e consapevolezza, tra chi si diverte e chi invece prova a lasciare un segno. E in un presente affollato di immagini, sono proprio quelle che parlano senza voce a restare più impresse.
L’edizione di quest’anno del Festival si distingue non solo per la qualità delle pellicole presentate o per i volti noti sfilati davanti ai fotografi, ma per la capacità di intercettare i temi del presente con delicatezza e potenza. Il tappeto rosso non è stato soltanto un palcoscenico per gli abiti e gli stilisti, ma una piattaforma simbolica in cui si è potuto prendere posizione, veicolare messaggi, ricordare tragedie e fare memoria. In questo senso, la presenza della regista Kaouther Ben Hania con la foto di Hind Rajab non è stata soltanto un atto emotivo, ma un atto politico, una dichiarazione forte di cosa può e deve diventare oggi il cinema: strumento di coscienza, di empatia e di connessione tra mondi apparentemente lontani.
Accanto a questi momenti di intensità, il Festival ha saputo mantenere anche la sua anima più leggera, fatta di moda, ironia e provocazione. Alba Parietti ha portato la sua cifra stilistica sopra le righe, mentre il power suit di Joaquin Phoenix ha ricordato quanto un look possa essere anche una dichiarazione di presenza e personalità. I voti e le recensioni ai look non sono solo frivolezze, ma diventano parte di una narrazione più ampia in cui l’estetica comunica, anticipa, racconta.
Nel complesso, questa edizione dimostra come il Festival sappia evolvere, senza perdere la sua anima spettacolare, ma anzi abbracciando la complessità della contemporaneità. L’intrattenimento non è mai stato così vicino alla realtà, e il cinema, ancora una volta, si conferma come lo specchio più fedele — e talvolta il più tagliente — della società. Tra emozione e critica, il tappeto rosso ha parlato. E noi abbiamo ascoltato.