L’Unione Europea introduce una nuova tassa sui rifiuti elettronici da luglio 2025. In Italia cresce la rabbia: si pagheranno fino a 2 euro al chilo per i RAEE.
L’annuncio di una nuova tassa sui rifiuti imposta dall’Unione Europea ha scatenato un’ondata di malumore tra gli italiani, già pressati da un sistema fiscale percepito come insostenibile. La misura, presentata il 16 luglio 2025 a Bruxelles, punta a introdurre un contributo specifico per i RAEE, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, oggi gestiti in maniera separata rispetto alla TARI tradizionale. L’obiettivo dichiarato è raccogliere circa 15 miliardi di euro l’anno, una cifra considerevole che dovrebbe sostenere le politiche ambientali europee. Eppure, per chi vive ogni giorno tra spese crescenti, stipendi stagnanti e servizi spesso inadeguati, la prospettiva di un ulteriore balzello viene vissuta come un peso quasi intollerabile.
La tassa europea e il calcolo sui chili di rifiuti
La TARI oggi è regolata a livello comunale, con modalità di calcolo che variano da città a città. Il criterio principale resta legato al numero di abitanti e alla metratura dell’abitazione, con eventuali riduzioni o esenzioni decise localmente. Questo sistema, seppur imperfetto, è noto ai cittadini che ogni anno ricevono la bolletta della spazzatura basata su parametri abbastanza chiari. La proposta dell’Unione Europea invece introduce un meccanismo diverso, che cambia radicalmente il rapporto tra famiglie e rifiuti. Non più conteggi basati sulla superficie o sul numero di persone residenti, ma una tariffa ancorata ai chilogrammi effettivi di rifiuti elettronici prodotti. Le indiscrezioni parlano di un costo di circa 2 euro al chilo per i dispositivi dismessi: vecchi computer, televisori, elettrodomestici, smartphone e tutte quelle apparecchiature ormai inutilizzabili che finiscono nelle isole ecologiche.
Per stabilire l’importo, il calcolo si baserà su una media triennale: verrà confrontato il peso medio dei dispositivi immessi sul mercato con quello dei rifiuti raccolti. Un metodo complesso, che rischia di confondere i cittadini e soprattutto di far lievitare i costi. Perché se da una parte si spinge a smaltire in modo corretto, dall’altra la conseguenza più diretta sarà una nuova voce da pagare, aggiunta a quelle già esistenti. Secondo Bruxelles, la misura è necessaria per finanziare la transizione ecologica e per colmare i buchi di bilancio comunitari. Ma già in Italia le associazioni dei consumatori parlano di stangata e mettono in guardia sul rischio di caricare eccessivamente le famiglie, specie quelle con redditi medio-bassi che fanno fatica a sostenere spese impreviste.
Le ricadute per le famiglie italiane e le critiche al provvedimento
Il dibattito aperto in Italia dimostra quanto la questione sia delicata. Il nostro Paese è tra quelli con il carico fiscale più elevato in Europa, e la sensazione diffusa è che a ogni nuovo impegno internazionale corrisponda un sacrificio imposto ai cittadini. Già oggi la maggior parte delle risorse raccolte dallo Stato è destinata a pensioni, sanità e debito pubblico, mentre settori come trasporti, sicurezza o istruzione ricevono quote molto ridotte.
Le famiglie sperimentano quotidianamente il divario tra tasse pagate e servizi ricevuti. Per un esame medico specialistico, spesso, l’unica alternativa ai lunghi tempi d’attesa del sistema sanitario pubblico è rivolgersi a cliniche private, con spese che superano facilmente i 200 o 300 euro. Dentro questo scenario, la notizia di una tassa supplementare sui rifiuti elettronici appare come una beffa. Gli esperti segnalano anche una difficoltà pratica: non tutti i Comuni hanno sistemi di raccolta differenziata dei RAEE realmente efficaci. Molte zone d’Italia registrano ancora problemi di gestione, ritardi nello smaltimento e scarso coordinamento tra enti locali. Inserire una tassa che si basa sul peso dei rifiuti, in assenza di un sistema uniforme e trasparente, rischia di generare incertezze e contenziosi.
La Commissione europea difende la misura sottolineando l’urgenza di centrare gli obiettivi ambientali e di ridurre le emissioni legate alla produzione di apparecchi elettronici. L’idea è spingere i produttori e i consumatori verso modelli più sostenibili, con una maggiore attenzione al riuso e al riciclo. Già, ma in Italia molti leggono questa iniziativa come l’ennesima prova che i grandi progetti europei finiscono spesso per gravare sulle spalle di chi paga le tasse, senza che vi sia un ritorno immediato in termini di servizi. Mentre i governi nazionali discutono come recepire la direttiva, le famiglie italiane si preparano a un autunno complicato, fatto di rincari e bollette sempre più pesanti. La nuova tassa sui rifiuti elettronici rischia di diventare uno dei temi più contestati dei prossimi mesi, capace di alimentare tensioni sociali e politiche in un Paese che già vive una stagione economica difficile.