Il governo spinge per modifiche alla normativa IVA europea, puntando ai colossi del digitale.
L’Italia ha presentato a Bruxelles un nuovo pacchetto di richieste in tema di IVA, chiedendo che le norme fiscali europee vengano aggiornate per affrontare in modo più efficace l’attività delle Big Tech. Il confronto si è aperto nell’ambito delle consultazioni del Consiglio Ecofin, e riguarda la possibilità di introdurre strumenti comuni per evitare che le grandi piattaforme digitali possano ancora beneficiare di regimi agevolati o disallineamenti fiscali tra gli Stati membri.
Secondo fonti del Ministero dell’Economia, la proposta italiana punta a correggere gli squilibri nell’applicazione dell’IVA tra imprese tradizionali e giganti del web. Il meccanismo attuale, infatti, consente in alcuni casi a soggetti non europei di operare nel mercato interno con aliquote ridotte o differite, sfruttando lacune nel sistema di riscossione. Un vantaggio competitivo che, secondo Roma, penalizza le imprese locali e svuota le casse dello Stato.
L’Italia, già da tempo critica verso i meccanismi fiscali usati dalle multinazionali digitali, chiede ora all’Unione Europea un passo avanti concreto. Nelle proposte circolate nelle ultime settimane, si ipotizza l’adozione di un registro unico europeo per la registrazione IVA, obbligatorio anche per le piattaforme extra-UE che vendono beni e servizi digitali sul territorio comunitario.
Il nodo dell’IVA e le pratiche elusive dei colossi digitali
L’intervento italiano parte da una constatazione semplice: mentre i piccoli esercenti locali sono sottoposti a rigidi controlli fiscali, le grandi piattaforme internazionali — da Amazon a Google, passando per Meta e Apple — riescono ancora a sfruttare zone grigie normative che permettono loro di abbattere il carico fiscale. In particolare, il regime attuale consente alle imprese extra-UE di non registrarsi direttamente in ogni Paese dove vendono, con la conseguenza che l’IVA viene spesso autoliquidata dagli acquirenti o gestita da intermediari terzi, rendendo difficile il controllo.

L’Italia propone quindi che tutte le imprese digitali che operano in Europa debbano essere obbligate alla registrazione diretta per l’IVA nei Paesi in cui generano ricavi. Questo eviterebbe fenomeni di elusione e garantirebbe un trattamento equo per le aziende europee, già soggette a obblighi dichiarativi più severi. A rafforzare la proposta ci sono i dati dell’Agenzia delle Entrate, che stimano in diversi miliardi di euro l’ammanco IVA legato alle vendite online.
Un altro punto critico riguarda la cosiddetta “reverse charge”, il meccanismo che trasferisce l’onere fiscale sull’acquirente. Questo sistema, pensato per semplificare gli scambi transfrontalieri, è spesso usato dalle piattaforme per evitare il pagamento immediato dell’IVA, rimandando l’imposizione a momenti successivi e rendendo più complicato il controllo da parte delle autorità nazionali.
Nel documento inviato a Bruxelles, l’Italia propone l’abolizione del reverse charge per le vendite B2C effettuate da soggetti non residenti, almeno nel comparto digitale. Una modifica che costringerebbe le piattaforme a versare direttamente l’imposta nel Paese di consumo, rendendo il gettito più tracciabile e immediato.
Reazioni europee e possibili scenari per il mercato digitale
La proposta italiana ha già suscitato reazioni contrastanti tra gli Stati membri. Alcuni Paesi del Nord Europa, storicamente più inclini a mantenere regimi fiscali leggeri per favorire l’innovazione, vedono con prudenza l’idea di irrigidire gli obblighi per le Big Tech. Altri, come Francia e Spagna, si sono detti pronti a sostenere il piano, a patto che venga accompagnato da un sistema armonizzato di riscossione che eviti ulteriori frammentazioni normative.
A Bruxelles, la Commissione europea ha preso atto dell’iniziativa, rimandando però ogni decisione al 2026, quando sarà concluso il riesame del pacchetto VAT in the Digital Age. Il progetto, che prevede una revisione completa dell’IVA in ambito e-commerce e servizi online, include già alcune delle richieste italiane, ma non tutte. In particolare, la proposta di abolire la reverse charge per i soggetti extra-UE resta fuori dal perimetro.
Nel frattempo, le autorità fiscali italiane hanno intensificato i controlli sulle vendite online non tracciate, anche grazie a nuove convenzioni con marketplace come Amazon e Alibaba, che dal 2024 sono tenuti a fornire report dettagliati sulle transazioni effettuate dai loro venditori. Una misura che ha già portato a un incremento dei versamenti IVA registrati nel primo semestre del 2025.
La partita, però, si gioca a livello europeo. Senza un coordinamento normativo forte, ogni intervento nazionale rischia di restare isolato. E i colossi digitali — lo sappiamo — sanno benissimo come spostare le proprie basi operative da un Paese all’altro per seguire le regole più favorevoli.