Una nuova ricerca rilancia il confronto sul rapporto tra consumo di latte e densità ossea, smentendo alcuni luoghi comuni e sollevando dubbi su pratiche alimentari consolidate.
Bere latte ogni giorno, a colazione o dopo lo sport, è un’abitudine diffusa in molte famiglie. Per decenni è stato presentato come uno degli alimenti chiave per rafforzare le ossa, grazie al contenuto di calcio e vitamina D. Eppure, un nuovo studio condotto dall’Università di Harvard, pubblicato negli Stati Uniti ad agosto 2025, mette in discussione alcune delle convinzioni più radicate, indicando che il consumo eccessivo potrebbe non portare i benefici attesi sulla densità ossea, almeno in età adulta. I dati, basati su un campione di oltre 120.000 persone monitorate per 20 anni, mostrano che l’assunzione quotidiana di grandi quantità di latte non ha inciso in modo significativo sulla riduzione del rischio di fratture.
I ricercatori sottolineano che il calcio assunto con il latte viene metabolizzato in modo diverso rispetto a quello presente in altri alimenti e che, in alcuni soggetti, potrebbe addirittura favorire una perdita di massa ossea in età avanzata. Il dibattito, già acceso da tempo nel mondo scientifico, riceve così nuovi stimoli. E a essere messe sotto osservazione sono anche le campagne alimentari del passato, che hanno spinto al consumo di latte come “fonte irrinunciabile di salute”.
I dati emersi dalla ricerca di Harvard
Lo studio è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine il 15 agosto 2025 e ha coinvolto soggetti adulti di età compresa tra i 30 e i 70 anni, tutti residenti negli Stati Uniti. Secondo gli autori, tra cui il professor George Ellison della Harvard School of Public Health, non è stata trovata una correlazione forte tra il consumo quotidiano di latte e una maggiore densità minerale ossea, in particolare nella fascia over 50.

Al contrario, il gruppo che ha dichiarato di assumere regolarmente tre o più bicchieri al giorno ha mostrato una tendenza a subire microfratture vertebrali più frequentemente rispetto a chi consumava meno di un bicchiere al giorno. Nessuna differenza significativa è stata invece rilevata nei soggetti che assumevano calcio tramite vegetali a foglia verde o integratori.
Va detto che il latte rimane comunque una fonte importante di nutrienti, ma i ricercatori invitano a un approccio più bilanciato: non si tratta di eliminare il latte dalla dieta, bensì di ridimensionarne il ruolo, evitando eccessi. Le abitudini alimentari, fanno notare gli studiosi, dovrebbero tener conto del profilo genetico, della capacità individuale di assorbire il calcio, e di eventuali intolleranze, come quella al lattosio.
Latte, ossa e falsi miti da rivedere
Nel dibattito scientifico sono ormai sempre più frequenti le voci che spingono a riconsiderare le linee guida alimentari basate sull’idea che “più latte = più ossa forti”. Un’indagine condotta lo scorso anno in Svezia, già allora oggetto di discussione, aveva sollevato dubbi simili, registrando un’incidenza più alta di fratture femorali in adulti con un alto consumo di latte. Ora, con lo studio di Harvard, il quadro si complica.
Un altro aspetto emerso riguarda il processo infiammatorio che potrebbe derivare da un consumo costante e abbondante di latticini in soggetti predisposti: secondo alcuni dati preliminari, ci sarebbe un legame tra latticini e livelli di proteina C-reattiva, un marcatore infiammatorio.
Lo stesso vale per l’aspetto ormonale: alcune ricerche recenti, pubblicate dalla Mayo Clinic, stanno indagando la possibile correlazione tra latticini e variazioni nei livelli di IGF-1, un ormone associato alla crescita cellulare. Pur non esistendo conferme definitive, il sospetto è sufficiente a richiedere prudenza.
Nel frattempo, il Ministero della Salute italiano non ha aggiornato le linee guida in materia. La raccomandazione resta quella di mantenere una dieta varia e completa, dove il latte ha un ruolo, ma non è considerato l’unica fonte di calcio.