Mentre si discute di flat tax, resta il nodo dei controlli sui mancati scontrini: multe e sanzioni.
Sedersi a tavola e ricevere solo un conto scritto a mano, senza alcuna traccia fiscale: una scena ancora frequente in molte città italiane, nonostante anni di campagne contro l’evasione. La questione è tornata al centro del dibattito dopo le ultime dichiarazioni sulle semplificazioni fiscali e sull’estensione della flat tax, che nel frattempo continua a dividere esperti e operatori. Il rischio è che, mentre si discute di aliquote e soglie, passi sotto silenzio un fenomeno tanto diffuso quanto radicato: il mancato rilascio dello scontrino.
Secondo le attuali norme, chi non riceve la ricevuta fiscale dopo un acquisto o una consumazione ha diritto a segnalarlo. Non è un obbligo, ma una facoltà prevista proprio per arginare le violazioni. E le sanzioni, almeno sulla carta, sono tutt’altro che simboliche. Il problema è che il sistema dei controlli resta fragile, soprattutto in un contesto dove l’adozione di regimi forfettari — come la flat tax — può facilitare comportamenti opachi, rendendo più difficile verificare quanto un’attività incassi davvero.
Cosa prevede la legge in caso di scontrino mancante
Chi riceve un servizio — ad esempio un pasto al ristorante — ha diritto a un documento fiscale. L’emissione non è una cortesia, ma un obbligo previsto dall’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 127 del 2015. In assenza di tale documento, il cliente può effettuare una segnalazione alla Guardia di Finanza o all’Agenzia delle Entrate. Non serve fornire prove dirette, ma solo indicare il giorno, l’ora e l’indirizzo del locale. La verifica scatterà in seguito, con controlli mirati e potenziali multe a carico dell’esercente.

Nel caso in cui l’irregolarità venga accertata, le sanzioni possono variare da un minimo di 500 euro fino alla chiusura temporanea dell’esercizio, specie se l’omissione viene rilevata più volte in un breve periodo. Le regole sono pensate per scoraggiare la recidiva e tutelare la concorrenza tra imprese, penalizzando chi prova a sfuggire al fisco a danno degli altri operatori onesti.
Il discorso si fa più complesso con l’introduzione della flat tax per le partite IVA. In teoria, il regime forfettario comporta vantaggi semplificati sia in termini di tassazione che di adempimenti. Ma se l’attività non rilascia scontrini, non è detto che venga mai scoperta. Le soglie fissate — attualmente fino a 85.000 euro di ricavi annui — possono diventare un punto cieco, soprattutto se non si intensificano i controlli incrociati.
Ecco perché molte associazioni dei consumatori chiedono un meccanismo più trasparente e strumenti che permettano ai clienti di verificare digitalmente i pagamenti, magari collegando lo scontrino a un’app o a un sistema centralizzato. L’obiettivo resta uno solo: ridurre l’evasione senza scaricare tutto sulle spalle dei contribuenti onesti.
Il rapporto con la flat tax e i possibili effetti
La flat tax viene presentata da anni come uno strumento per semplificare il fisco e incentivare la regolarità. Ma c’è chi avverte: semplificare non significa eliminare i controlli. In particolare, i regimi forfettari escludono dalla contabilità analitica migliaia di operatori economici, tra cui molti ristoratori, artigiani e liberi professionisti. Questo significa che lo Stato rinuncia a sapere quanto effettivamente guadagnano, affidandosi a un coefficiente standard.
Nell’intento di tagliare la burocrazia, si rischia di perdere la tracciabilità. E non è un problema teorico. I dati dell’Agenzia delle Entrate mostrano come l’evasione nel settore della ristorazione resti alta, proprio perché — senza ricevute — è difficile stimare il volume reale di incassi. Le statistiche aggregate parlano di miliardi di euro che sfuggono ogni anno, e che difficilmente potranno essere recuperati senza strumenti adeguati.
Le recenti aperture del Governo a una flat tax estesa anche per i lavoratori dipendenti hanno riacceso il dibattito. Il timore di molti esperti è che, senza un sistema di tracciamento efficace, il vantaggio fiscale possa trasformarsi in un alibi per chi già opera ai margini della legalità. Non a caso, nei mesi scorsi si è parlato di incrociare i dati delle spese dichiarate con quelli effettivi dei pagamenti elettronici, ma al momento l’infrastruttura non sembra pronta.
Nel frattempo, l’unico strumento a disposizione dei cittadini resta la segnalazione individuale, che però — lo sappiamo — non sempre viene fatta. Per abitudine, per timore o semplicemente per pigrizia. Ma ogni scontrino non emesso è un euro che manca nelle casse pubbliche. E con esso, anche servizi, infrastrutture e sostegni a chi ne ha davvero bisogno.