Finti clienti e profili clonati: così le truffe social colpiscono le PMI italiane ogni giorno

Pmi finti clienti

Allarme social: i truffatori colpiscono anche i piccoli negozi. - www.requisitoire-magazine.com

Luca Antonelli

Settembre 6, 2025

Le piccole e medie imprese sono sempre più esposte agli attacchi via social: dalle truffe con bonifici falsi fino ai finti profili che rubano dati e clienti, ecco cosa sta succedendo.

Tra Facebook, Instagram e WhatsApp, le truffe informatiche ai danni delle PMI italiane si moltiplicano. Dalla finta cliente che ordina prodotti e invia un finto bonifico, al profilo clone che ruba logo e nome dell’azienda per contattare i clienti reali. In mezzo, ci sono virus nascosti dietro a falsi reclami, richieste assurde, e finte recensioni. Lo schema è quasi sempre lo stesso: approfittare della fiducia costruita sui social per entrare nel sistema digitale della piccola impresa. E non serve neanche essere esperti informatici. Basta un messaggio ben scritto, un link ingannevole o una richiesta credibile. Così, senza accorgersene, botteghe artigiane, ristoranti, centri estetici o piccoli negozi cadono nella rete dei truffatori.

Le segnalazioni arrivate negli ultimi mesi si sono moltiplicate, soprattutto dopo l’estate. A denunciare l’ondata è Confcommercio, che parla di un fenomeno in crescita, ma ancora sottovalutato. Le vittime? Sempre le stesse: piccole realtà che lavorano tanto, spesso senza un referente tecnico interno, e che usano i social per comunicare con clienti, fare ordini, rispondere a recensioni. Tutto nel tentativo di restare a galla, in un mercato sempre più competitivo. Ed è proprio questa esposizione che le rende fragili, bersagli facili per chi sa come sfruttare la fretta, la disattenzione e la mancanza di protezioni adeguate.

Le tecniche più usate per aggirare le PMI online

Un esempio concreto arriva da Milano: una piccola azienda di catering è stata contattata da un utente con un nome simile a quello di un cliente abituale. Dopo una finta trattativa via Messenger, l’utente ha inviato un link con il contratto da firmare. Un clic, e tutto il sistema informatico dell’azienda è stato bloccato. Chi ha risposto al messaggio si è accorto troppo tardi del problema: il link conteneva un ransomware che ha cifrato file, documenti e dati clienti.

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Il costo invisibile della truffa: tempo, stress e reputazione. – www.requisitoire-magazine.com

Altre volte la truffa è più sottile. Un’azienda del centro Italia ha scoperto un profilo clone che replicava in tutto e per tutto la pagina Facebook ufficiale, comprese le foto. Il truffatore contattava i follower con promozioni false, chiedeva anticipi su bonifici e spariva. Quando i clienti si lamentavano, i gestori reali non sapevano nulla. Il danno non è solo economico, ma anche di reputazione.

I social diventano quindi terreno fertile per truffe sempre più difficili da individuare. Nessuna piattaforma è esclusa: Instagram, TikTok, Facebook, perfino LinkedIn, dove l’apparenza professionale inganna con più facilità. In molti casi, dietro queste truffe ci sono gruppi organizzati, spesso all’estero, che agiscono su larga scala.

Le PMI italiane restano indifese e senza strategie digitali

Il vero problema non è solo tecnologico, ma culturale. Le PMI italiane, soprattutto quelle familiari, non hanno spesso strumenti o competenze per difendersi. Chi si occupa dei social è spesso lo stesso titolare o un dipendente senza formazione specifica. Mancano protocolli di sicurezza, software aggiornati, backup costanti. Anche le password, spesso banali e uguali su più piattaforme, restano vulnerabili.

Nel mirino finiscono le aziende che gestiscono direttamente vendite o comunicazioni tramite social, come negozi che ricevono ordini via Instagram, o parrucchieri che prendono appuntamenti su WhatsApp. Il rischio è concreto e costante. E se anche si evita il danno economico diretto, l’effetto sul rapporto con i clienti è devastante.

Confcommercio e altre sigle del commercio stanno cercando di sensibilizzare il settore con corsi di formazione e campagne informative. Ma i numeri restano bassi. Solo una PMI su cinque, secondo una recente indagine, ha attivato almeno una forma di protezione informatica sui propri canali social. Il resto si affida al caso, oppure ignora del tutto i segnali d’allarme.

Il vuoto normativo, da parte delle piattaforme, peggiora il quadro. Anche segnalando un profilo truffaldino, spesso l’intervento è lento o inesistente, e la pagina falsa resta attiva per giorni. Intanto, altri clienti vengono contattati, altri danni si sommano.

Servono nuove strategie di difesa digitale pensate per le realtà piccole, non solo per le grandi aziende. E serve consapevolezza: non basta più avere una pagina social per essere visibili, bisogna anche saperla proteggere.