Se il commercialista sbaglia la dichiarazione dei redditi, chi paga le conseguenze è quasi sempre il contribuente: ecco cosa può succedere e come tutelarsi.
Quando si affida la dichiarazione dei redditi a un commercialista, ci si aspetta che tutto venga gestito correttamente. Ma se il professionista commette un errore, le conseguenze fiscali possono ricadere sul contribuente. È una dinamica che pochi conoscono davvero: la responsabilità finale, secondo la legge italiana, resta in capo al cittadino. Lo stesso vale in caso di omissioni, compilazioni errate o dati inesatti inseriti nella dichiarazione. E, in questi casi, non basta invocare la colpa del consulente per evitare multe o accertamenti. Chi presenta la dichiarazione, anche tramite intermediario, è tenuto a controllarne il contenuto. Questo principio è stato più volte confermato dalla Corte di Cassazione e applicato dall’Agenzia delle Entrate.
La prassi, già nota tra gli addetti ai lavori, è spesso ignorata dai contribuenti. Eppure basta un piccolo errore formale o un codice sbagliato per aprire la strada a sanzioni, interessi di mora e, in casi più gravi, a cartelle esattoriali o accertamenti fiscali retroattivi. Anche quando il contribuente ha agito in buona fede. I casi più comuni riguardano detrazioni non spettanti, calcoli sbagliati del reddito, dimenticanze di immobili, conti esteri non segnalati, crediti inesistenti o errori nell’ISEE.
Cosa succede se il commercialista sbaglia
Il sistema fiscale italiano attribuisce al contribuente la responsabilità piena della dichiarazione dei redditi, anche se compilata da un intermediario abilitato. Nonostante il commercialista possa essere civilmente responsabile, le sanzioni tributarie colpiscono comunque chi firma la dichiarazione. La normativa parla chiaro: l’errore materiale, anche se imputabile al professionista, non è sufficiente per esonerare da imposte e multe.

Nel caso di errori riconosciuti, il contribuente può tentare di recuperare i danni rivolgendosi al commercialista tramite una richiesta formale o avviando una causa civile per responsabilità professionale. Ma questa strada richiede tempo, costi legali e non sempre si conclude con un risarcimento pieno. Nel frattempo, l’Agenzia delle Entrate può già aver avviato azioni esecutive per recuperare le somme dovute.
Molti contribuenti si affidano completamente al professionista, senza leggere né verificare il modello inviato. In realtà, sarebbe buona prassi chiedere sempre una copia della dichiarazione prima dell’invio, leggerla con attenzione e conservarla. In caso di contestazioni, sarà utile anche la documentazione giustificativa delle spese detraibili. Il contribuente può comunque correggere eventuali errori attraverso una dichiarazione integrativa o un ravvedimento operoso, che permette di sanare spontaneamente l’irregolarità, pagando sanzioni ridotte.
Come evitare sanzioni e tutelarsi
Chi vuole evitare problemi con il fisco deve agire con prudenza, anche se si affida a un esperto. Prima di tutto, è fondamentale firmare un incarico professionale scritto, che specifichi le responsabilità del commercialista e il tipo di prestazione richiesta. Questo documento può rivelarsi cruciale in caso di controversie. Bisogna poi controllare che il commercialista sia effettivamente abilitato all’invio telematico, tramite codice intermediario.
La verifica dei dati rimane centrale. Spesso gli errori derivano da documenti incompleti o informazioni non aggiornate fornite dal cliente. In altri casi, il professionista può aver commesso una svista nella trascrizione, nel calcolo delle imposte o nell’inserimento delle detrazioni. Per questo è utile un confronto finale prima della trasmissione. Il contribuente deve controllare attentamente importi, codici fiscali, presenza di eventuali bonus, spese sanitarie, interessi passivi sul mutuo, e così via.
In caso di notifica di accertamento, non bisogna ignorarla. È importante rivolgersi subito a un esperto, eventualmente diverso da quello coinvolto nell’errore, per valutare se contestare l’atto o procedere a una sanatoria. In alcune situazioni è possibile dimostrare che l’errore non era evitabile e ottenere una riduzione delle sanzioni, ma serve un’adeguata documentazione e una strategia difensiva.
Le sanzioni tributarie possono arrivare anche al 30% dell’imposta non versata, con interessi che si sommano nel tempo. E nei casi più gravi, dove si ravvisi una violazione penale, come l’omessa dichiarazione, il contribuente può essere chiamato a rispondere anche penalmente. Una catena di conseguenze che si sarebbe potuta evitare con più attenzione, e una lettura scrupolosa dei documenti inviati all’Agenzia delle Entrate.