Cos’è il “digital blackout” e perché sempre più influencer stanno sparendo dai social

Il blackout digitale, letteralmente “spegnimento digitale". - www.requisitoire-magazine.com

Luca Antonelli

Settembre 5, 2025

Dall’America all’Italia, cresce il numero di creator che scelgono di sparire improvvisamente: ecco cosa significa davvero “digital blackout”

All’improvviso spariscono. Nessun post, nessuna storia, nessuna spiegazione. I profili si svuotano, le foto vengono archiviate, le bio cancellate. Alcuni cambiano anche username, altri spariscono del tutto. È il “digital blackout”, una nuova tendenza che si sta diffondendo tra influencer, creator e personaggi pubblici sui social, soprattutto su Instagram e TikTok. E no, non è solo una pausa. È un’azione deliberata, strategica e spesso studiata al millimetro.

Il blackout digitale, letteralmente “spegnimento digitale”, non è solo un atto di ribellione contro l’iperconnessione o l’ansia da algoritmo. È diventato uno strumento comunicativo, a volte una provocazione, altre volte una mossa di marketing. In molti casi, anticipa un grande ritorno, un rebranding o un lancio imminente. In altri, invece, è una vera richiesta d’aria, un segnale che dietro i filtri patinati qualcosa si è rotto.

Dagli Stati Uniti, dove il fenomeno è esploso tra top model, attori e guru della crescita personale, fino all’Italia, dove anche creator di medio calibro stanno “scomparendo” per giorni o settimane, il blackout digitale sta diventando una risposta radicale alla pressione costante di essere presenti, visibili, performanti.

Quando sparire fa rumore: le ragioni dietro il blackout

Nel sistema dei social, essere sempre online è una regola non scritta. Pubblicare, rispondere, farsi vedere, mantenere l’attenzione: ogni giorno, ogni ora, senza pause. Ma proprio questa iper-esposizione ha generato un effetto collaterale. Sempre più creator raccontano di burnout digitale, ansia da prestazione, crisi di identità, esaurimento creativo. E in questo contesto, il blackout diventa una forma di autodifesa.

digital blackout
Un cambiamento che segna il presente. – www.requisitoire-magazine.com

Il gesto di cancellare tutto o di abbandonare il profilo per settimane non è più visto come fallimento, ma come atto di forza. Alcuni lo fanno per staccare davvero, altri per creare attesa. La strategia è sempre la stessa: sparire, lasciare il vuoto, far parlare di sé nel silenzio. Quando il profilo si svuota e resta solo una foto nera o una bio vuota, il pubblico reagisce: chi chiede spiegazioni, chi si preoccupa, chi ipotizza.

In molti casi, il blackout precede una rinascita digitale. Si torna con un nuovo feed, nuovi contenuti, magari con un annuncio importante: una linea di prodotti, un nuovo progetto, un passaggio a un’altra piattaforma. È successo con personaggi come Bella Hadid, che ha fatto parlare il mondo dopo aver svuotato il suo profilo, per poi tornare con un messaggio sulla salute mentale. Ma anche creator italiani hanno seguito il trend, scegliendo di resettare l’immagine pubblica per comunicare una svolta.

Altri, più semplicemente, spariscono per proteggersi. Senza bisogno di spiegazioni o ritorni teatrali. Sono quelli che sentono di aver perso il senso del loro rapporto con la rete, e decidono di riappropriarsi della propria voce nel silenzio. In un’epoca in cui tutto è condiviso, anche non condividere diventa un messaggio potente.

Il significato culturale di un gesto silenzioso

Il digital blackout non è solo un fenomeno da osservare nel mondo dei social. Racconta il nostro tempo, i suoi eccessi e i suoi sintomi. Mostra quanto sia fragile l’equilibrio tra presenza e identità, tra visibilità e autenticità. Più un creator è esposto, più può sentirsi schiacciato dal proprio personaggio. Sparire per qualche giorno o per sempre diventa allora un modo per ritrovare confini, o semplicemente per riprendere fiato.

Lo vediamo nei numeri. Secondo un report 2025 di Hootsuite, oltre il 38% dei creator professionisti ha dichiarato di aver preso almeno una volta una pausa dai social senza annuncio pubblico, e quasi il 60% ammette di “pensare spesso a farlo”. Il tema della salute mentale legata alla carriera digitale è ormai centrale anche nei programmi di formazione per influencer e talent.

C’è poi un altro aspetto: il silenzio paga. Non a caso, molte agenzie di comunicazione hanno inserito il blackout digitale tra le strategie possibili per il rebranding. Una “morte digitale” temporanea può azzerare l’immagine e creare curiosità. Quando il profilo riappare, è come se tutto ripartisse da zero. Con un nuovo racconto, una nuova estetica, un nuovo messaggio.

Ma attenzione: non è una formula magica. Se usato con leggerezza, il blackout può anche disorientare, far perdere follower, rompere il legame di fiducia. Funziona solo quando è autentico, coerente, o capace di trasformare l’assenza in narrazione.

Il digital blackout, insomma, è il sintomo di una generazione che non vuole sparire, ma solo smettere – per un attimo – di dover esistere sotto i riflettori.